Il Mito de la Cura

Il Mito de la Cura

Il Mito

Il mito racconta che, un giorno, nell’attraversare un fiume, l’attenzione di Cura sia stata attratta dal fango argilloso. Pensosa, senza bene rendersi conto di quello che andava facendo, Cura si mise a modellarla, traendone la figura di un uomo.

Fu allora che sopraggiunse Giove, a cui la dea chiese di infondere spirito vitale nella scultura da lei plasmata, cosa a cui Giove acconsentì con facilità. A questo punto, Cura chiese di poter imporre il proprio nome alla creatura, ma il dio glielo negò, sostenendo il nome di quell’essere doveva provenire da lui, che gli aveva infuso la vita.

Ne nacque una disputa, che si complicò quando a essa si unì la Terra: questa riteneva, infatti, che il nome avrebbe dovuto essere il suo, essendo sua la materia con cui era stata plasmata la creatura. Per risolvere la diatriba, fu chiamato a pronunciarsi Saturno, il cui giudizio distribuì le rivendicazioni: a Giove, che aveva infuso lo spirito sarebbe toccato, alla morte di quell’essere, di rientrare in possesso dell’anima; alla Terra, della cui materia l’essere era composto, sarebbe tornato il corpo dopo la morte; ma a possederlo durante tutta la vita sarebbe stata l’Inquietudine, la prima a plasmarlo. Il nome, invece, non sarebbe toccato a nessuno dei tre contendenti: l’essere si sarebbe chiamato “uomo“, perché creato dall’humus.[2]

 

(tratto da Wikipedia)

 

Il Mito de la Cura

Scritto da

il mito della cura, studiato da Heidegger e raccontando nel suo libro Essere e Tempo, tocca le corde di una conoscenza ancestrale, molto antica agli occhi dell’uomo contemporaneo, ma molto intima e sentita.

L’essenza dell’uomo stesso è la cura che lo costituisce da un punto di vista esistenziale o ontologico come direbbe il filosofo tedesco. Ne costituisce il significato. il senso della vita stessa dell’uomo inteso come discorso che si fa reale, racconto nel divenire del tempo. Noi esistiamo nella materia, in questa dimensione e di conseguenza lo siamo in divenire nel tempo. La cura intesa come prendersi cura, di noi stessi e del mondo è il principio stesso del nostro esistere ciò che ci da sostanza e significato. Un ragionamento molto filosofico, che però ha una serie di ripercussioni forti nella vita pratica dell’essere umano. Se questo risulta vero come nel racconto del mito greco, non si tratta solo di occuparsi degli altri, della comunità, della natura, ma è insito nel significato stesso della nostra esistenza. Come nella canzone di Battiato, che prende il titolo dalla figura mitologica stessa, ci troviamo di fronte all’esigenza, principio implicito del nostro vivere. Non possiamo esimerci dal prenderci cura dell’altro, dell’ambiente che ci circonda, del mondo nella sua evoluzione naturale, cercando conoscenza e attenzione al suo naturale svolgimento, come un giardiniere nell’Eden che ci è stato consegnato alla nostra nascita, alla vita. Purtroppo nelle perdita del contatto con la nostra essenza, attraverso la perdita di contatto con il corpo, avviene il senso di lacerazione e l’apparizione inconsapevole dell’abisso della solitudine. Nei processi rituali che definivano il nostro aggregarci in tribù, nei canti, nelle danze, nei riti iniziatici, l’uomo cercava la percezione di questo contatto primigenio con la vita, la riproduzione del processo di nascita, rivoluzione, morte e rinascita del Sole, raccontato anche così prepotentemente dal mito della Cura. Dalla polvere, nasciamo ed alla polvere torniamo (dust in the wind dei Kansas).
Il profondo condizionamento prodotto dall’impronta fortemente utilitaristica della tecnologia, ci porta a porre l’attenzione sulla modalità prettamente razionale di interpretazione della realtà che ci circonda. La Tecnologia serve a migliorare le condizioni di vita, ma lo strumento nel momento che diventa parte stessa del corpo, lo trasforma cambiando anche i nostri stessi processi cognitivi perché l’organismo umano è un sistema volto a produrre consumando meno energia possibile, di conseguenza una volta acquisiti dei processi non serve alimentare quella parte del cervello che deve mantenere la consapevolezza su di essi. I processi rimangono memorizzati nel cervello attivando percorsi automatizzati nel corpo e la parte adibita all’attenzione consapevole il cosiddetto cervello che nota, si spegne, mantenendo il pilota automatico per ciò che è considerato puramente sopravvivenza. Ecco l’importanza che costituiscono gli studi contemporanei sul trauma. stanno scoprendo come funzioniamo rispetto alle esperienze che consideriamo traumatiche e come siamo ingegnerizzati per salvarci la vita. Tutto questo ci fa dimenticare, o per meglio dire, perdere la percezione del contatto con ciò che profondamente percepiamo nel corpo, la nostra essenza creatrice, che per i greci era la Cura. L’arte è un linguaggio che ci aiuta a riprendere il contatto, ma questa è un altra storia.

Nel suo libro “Essere e tempo”, Martin Heidegger racconta il mito della Cura, un mito che descrive la condizione esistenziale dell’uomo.

Il mito della Cura è una metafora della condizione esistenziale dell’uomo. L’uomo è un essere gettato nel mondo, senza una natura o una destinazione predeterminata. L’uomo è libero di scegliere il proprio destino, ma è anche responsabile delle proprie scelte.

La Cura è la struttura ontologica dell’uomo, è la sua condizione di essere-nel-mondo. La Cura è ciò che ci permette di relazionarci con il mondo e con gli altri.

Heidegger distingue tra due tipi di Cura:

  • La Cura inautentica: è la Cura che si perde nel mondo delle cose e delle opinioni. L’uomo inautentico è un essere-per-gli-altri, che vive la sua vita in funzione degli altri.
  • La Cura autentica: è la Cura che si assume la propria responsabilità e si orienta verso il proprio significato. L’uomo autentico è un essere-per-sé, che vive la sua vita in funzione di se stesso.

Il mito della Cura è un mito che può aiutarci a comprendere la nostra condizione esistenziale. Se comprendiamo la nostra condizione di essere-nel-mondo, possiamo scegliere di vivere una vita autentica e significativa.

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Tecniche per dissolvere i blocchi

Scoprire i segreti del funzionamento delle storie

Trasformarsi in un maestro dei dialoghi

Scoprire e riconoscere la propria voce interiore

In cosa consiste il percorso di coaching autorale, con percorso personalizzato?

Sono sei lezioni. All’interno di ogni lezione saranno trattate una serie di tematiche specifiche con esercizi costruite per sottotematiche. Il corso si prevede come un percorso individuale dove oltre alla singola lezione sul singolo tema si prevede una personalizzazione dell’insegnamento sulla base dei bisogni e degli obiettivi delle singole persone

Le basi: Creare il mondo

il monomito di Campbell
L’eroe dentro di noi
teorie della mente e del controllo
All’origine dell’uomo, all’origine delle storie

Lezione 1 durata 4h conoscendo il perché scopriamo come far nascere le storie

Un viaggio negli elementi narrativi che hanno caratterizzato la nostra evoluzione, indagheremo come immaginiamo noi stessi ed il mondo che ci circonda grazie all’aiuto delle neuroscienze, scopriremo perché raccontare ci è utile e  sperimenteremo anche il valore strutturale del gossip. Tramite esercizi diventeremo così abili a raccontare, che anche fare la spesa diventerà un racconto

Interno ed esterno: soggetto ed oggetto, protagonista e personaggi

Il gioco delle parti
giocare il gioco
dalla percezione al racconto alla messa in opera

Lezione 2 durata 4 h studiamo il rapporto tra autore, protagonista/i e personaggi/o e come la loro dinamica avvia e fa procedere le storie

scopriremo la differenza tra un cervello che pensa ed uno che nota, i rapporti possibili tra autore e racconto, la differenza tra soggetto ed oggetto del racconto, le domande sul mondo e le risposte di tutti i partecipanti alla messa in scena, la differenza tre descrizione ed azione nelle dinamiche di relazione. Esercizi

I traumi e il corpo come chiave gneosologica

come e cosa memorizza il nostro cervello
la mindfulness del corpo come abitudine
lo sviluppo dell’osservatore e la consapevolezza

Lezione 3 durata 4 h Alla fine del ‘900 filosofi hanno cominciato a scoprire quello che le neuroscienze avrebbero scoperto a breve, che esitiamo attraverso il corpo il quale memorizza a prescindere dal nostro ricordo consapevole. Noi siamo, mente, corpo e altro (spirito?)

Faremo un percorso teorico-pratico per comprendere più in profondità il principio delle nostre scelte ed azioni ed esserne più consapevoli, mediante l’approccio psicologico più contemporaneo al concetto di trauma: questo ci aiuterà a sviluppare quella forma di osservazione necessaria a stabilire in maniera forte il rapporto tra autore e storie e forse anche ad essere meno stressati per il risultato del nostro lavoro di scrittura

Gli archetipi come energie dell’inconscio

La tragedia greca
Gli archetipi dei racconti di fiabe
la struttura di Propp
Anatomia di una storia di Truby
Tarocchi e Jung
Gli archetipi nella società contemporanea

Lezione 4 durata 4 h È arrivato il momento di un po’ di accademia, studieremo la funzione degli archetipi nella scelta dei personaggi delle nostre storie e ci collegheremo idealmente alla grande storia del mondo.

I racconti nel tempo si sono evoluti e trasformati, ma esistono degli elementi strutturali che sono sempre presenti in forma di funzione, studieremo e faremo esercizi su queste funzioni e acquisiremo abilità su una serie di meccanismi narrativi. Esercizi

Relazioni e dialoghi come catalizzatori

Spazio e tempo nel racconto visivo e dialogico
dialoghi reali e dialoghi costruiti
la storia per eventi la storia per personaggi

Lezione 5 durata 4 h tutta una lezione dedicata ai dialoghi, come costruirli, come funzionano, come renderli realistici, sempre con un pizzico in più di neuroscienze

Come gestiamo la percezione della storia per il nostro lettore o fruitore? Lavoreremo, sulla percezione dello spazio, del tempo, su aspetti psicologici come la gestalt, sulle relazioni tra personaggi attraverso i dialoghi, equilibri e sviluppi delle storie

Presenza e assenza nell’opera finita

scrivere la nostra storia
i limiti del pudore
maschere e performance nel teatro e nella vita

Lezione 6 (ultima lezione) durata 4h In questa lezione analizzeremo, tramite esercizi e scritti noi stessi come autori, quanto siamo presenti in maniera visibile all’interno della nostra storia? e quanto vogliamo farlo sapere a chi la legge o la guarda?

si tratta di un viaggio introspettivo verso le radici profonde delle nostre storie fino a cercare di sviscerare la poetica personale che ci caratterizza, solo cominciando a trovare le motivazioni poi potremo iniziare a parlare di stile e scelte drammaturgiche

Riguardo me

l giornalismo, il teatro, la scrittura, la relazione di aiuto, la formazione. Ho avuto la fortuna di incontrare meravigliosi maestri che mi hanno trasmesso, in ogni settore, la passione e l’importanza del sapere e della sua messa in pratica

Maria Corda Costa, Umberto Eco, Tullio De Mauro, Peter Greenway, Judith Malina, Lindsay Camp, Patrizia Genovesi, Valentino von Braitenberg, con cui ho condiviso anni di formazione e lavoro.

L’incontro con mia moglie Silvia Vannozzi, Psicologa e Psicoterapeuta  di grande empatia e sensibilità, mi ha ulteriormente spinto verso il mio “Daimon”

Lo studio approfondito dell’Antropologia, della Filosofia, della Psicologia e della Narrazione, sono parte integrante della mia esistenza, fin da piccolo ed oggi più che mai, con l’obbiettivo di trasmettere strumenti pratici di formazione e crescita personale.

Testimonianze

“Non è il semplice corso di scrittura creativa, è molto di più, più intimo, più personale”

Maurizio Carli

“Avevo l’idea di scrivere un romanzo da almeno 10 anni, mi mancava qualcosa per farlo, con questo corso, l’ho trovato”

Giovanna Liberati

“Non avevo idea di tutto il percorso che sarebbe stato necessario per creare una mia opera, avevo solo un idea, adesso ho imparato a creare”

Andrea Costa

Trova la tua strada, fissa gli obiettivi e stabiliamo insieme le tappe per raggiungere il tuo progetto

Non si tratta di un semplice corso da vendere a moduli o attraverso metodologie on line, ma qualcosa di ben più complesso e personale. Sono previsti 6 incontri di 4 ore ciascuno che rappresentano il filo conduttore del percorso didattico, più tutta la parte di tuttoraggio e consulenza filosofica personalizzata in base alle esigenze ed alle necessità personali di ogni singolo partecipate. È un per-corso per chi ha già delle esperienze artistiche e di scrittura e cerca uno stimolo più profondo che gli permetta di iniziare a creare ad un nuovo livello. Per questo motivo se si è interessati è necessario prendere un primo appuntamento anche on line , se si vive fuori Roma, sede degli incontri

Non attendere ancora, cogli l’attimo e contattami ora per cominciare!

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Viaggio dell’Eroe

Viaggio dell’Eroe

Seminario intensivo

– Residenziale –

Il viaggio

dell’Eroe

Esiste un racconto antico, tramandato nelle generazioni che ritroviamo nei Miti, nelle Fiabe e nelle Religioni. Noi siamo gli Eroi, Anime che hanno deciso di essere uomini e donne in questa vita per raggiungere l’espressione piena del Divino

Il viaggio dell’Eroe è conosciuto grazie agli studi antropologici di Campbell sul monomito ed il testo di Cristopher Vogler ad uso degli scrittori di narrativa e di cinema, ma si tratta solo della superficie. Il nostro percorso tiene conto di molto altro: il lavoro psicologico sugli archetipi di Jung di Carol S. Pearson, di Lacan sul desiderio, sul trauma della scuola di Janina Fischer, Van Der Kolk e Pat Ogden, quello biologico e antropologico di Gregory Bateson e la scuola di Palo alto, prendendo spunto dai riferimenti filosofici ad Hussserl, Hidegger, Merleau -Ponty fino ad arrivare ai lavori sul teatro di Moreno , Grotowski e altri, per costruire le basi di un percorso filosofico esistenziale di tipo pratico per lo sviluppo della consapevolezza e della crescita personale come esseri umani

Perchè intraprendere il viaggio ora

Questo retreat fa per te se

  • Sei un’anima inquieta in cerca di risposte
  • Vuoi sentirti in contatto quotidiano con la magia della vita

Questo reteat fa per te se

  • Hai bisogno di conoscere come agire per superare le sensazioni di sconvolgimento che spesso ti assalgono
  • Hai sempre sognato di far parte dei Cavalieri delle Tavola Rotonda o dell’equipaggio dell’Enterprise

Questo retreat fa per te se

  • Hai sempre creduto che nelle fiabe ci sia un fondo di verità
  • E’ arrivato il momento nella vita di giocare ad un livello superiore
  • Sei in un percorso di ricerca interiore e ti senti sulla soglia di scoprire qualcosa di veramente nuovo

Questo retreat fa per te se

  • Sei in un percorso di ricerca interiore e ti senti sulla soglia di scoprire qualcosa di veramente nuovo
  • Ti sarebbe piaciuto tanto far parte di una grande scuola iniziatica
  • Vuoi aumentare la tua energia vitale
  • Vuoi sentirti più gioioso e felice realizzare i tuoi obiettivi, essere l’autore della tua vita
  • Vorresti essere più coraggioso e fiducioso nella vita

Cosa Imparerai

  • A parlare con il tuo corpo e ad ascoltarlo con profondità
  • A gestire con maestria disregolazioni e sconvolgimenti emotivi quotidiani
  • A sognare, progettare e surfare nel flusso per manifestare sogni e desideri
  • A percepire l’energia di appartenenza alla tribù umana ed usarla come risorsa personale
  • A relazionarti con gli altri in maniera empatica e profonda
  • A superare i tuoi presunti limiti e comunicare con le tue parti

L’obiettivo del viaggio

Questo corso nasce da anni di studi filosofici e antropologici sui miti, le fiabe e le tecniche di narrazione associati agli studi psicologici sul trauma, lo psicodramma e le ricerche neuroscientifiche sulla percezione. Ma sopratutto dalla messa in pratica di queste conoscenze nella mia vita personale.

Ne è scaturito un corso intensivo di tre giorni che definirei di Filosofia esistenziale pratica, molto pratica.

L’obiettivo del corso è quello di iniziare un percorso ed acquisire gli strumenti per percepire come trovare il proprio posto nel mondo. Stare bene con se stessi e sentire di possedere il senso profondo della propria vita.

Si tratta di un esperienza profonda che ci permetterà di comprendere un modello di esistenza in grado di rispondere alle domande esistenziali della nostra vita e trasformare il modo di relazionarci con gli altri e con noi stessi

 

Paura della morte

Paura della morte



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Paura della morte

Scritto da

Checov un giorno disse: “L’idea della morte mi accompagna da tutta la vita, l’ho pensata per tutta l’esitenza, ma quando lei arriverà io non ci sarò. Sarò già morto”. In fondo il sogno di trovarsi di fronte alla propria morte in maniera consapevole e magari potersi relazionare con essa è un pensiero molto pop. Se pensiamo alla canzone Samarcanda di Vecchioni o al film Brancaleone alle Crociate in cui alla fine il protagonista accetta di affrontare con lei l’ultimo duello. Anche nel medioevo era oggetto di canzoni come dimostra il ballo in fa diesis di Branduardi. La paura di morire nasconde un tema profondo ed “esistenziale” presente in tutta la storia del pensiero umano, l’eterna domanda sul significato della vita. D’altronde vita e morte non possono  essere concepite l’una senza l’altra

Abbiamo paura di morire,  

in realtà sappiamo fin dalla nascita che accadrà, ma per un certo periodo di tempo non ci pensiamo, presi dalle emozioni e dal fluire della vita, non facciamo caso al tempo che scorre. Improvvisamente poi (con la crisi di mezza età, direbbe qualcuno) col passare degli anni questa paura si affaccia, ci ricordiamo che non ci saremo:

“Ricordati che devi morire!” predicava Savonarola, “mo me lo scrivo!” rispose il meraviglioso Massimo Troisi in – Non ci resta che piangere –
Non è la morte in sé che ci spaventa, d’altronde quando arriva non siamo più vivi per saperlo, quanto il fatto che non vivendo più, non possiamo più fare esperienze, provare emozioni, percepire tutto quello che definiamo vita, ciò che siamo, il nostro flusso di pensieri, la percezione della nostra identità.
E se invece potessimo farlo ugualmente?
Per questo dalle storie (racconti popolari e favole) e dai miti siamo passati alle religioni, per rispondere all’orrore di questo vuoto esistenziale.  La Paura è la chiave alla produzione di risposte possibili che diano senso al caos inspiegabile senza leggi. Anche Einstein ne era terrorizzato osservando i primi barlumi della Fisica Quantistica “Dio non gioca a dadi” disse.
Le religioni nascono dalla paura, non lo sostengo io ma il primo antropologo italiano inconsapevole data l’epoca, Giambattista Vico. Ovviamente hanno un grande potere consolatorio e siamo liberi personalmente di credere in ciò che preferiamo. Ma proviamo insieme a giocare al come sarebbe se, proviamo a dire che abbiamo diversi modi di leggere ed ascoltare la storia raccontata  prima dai miti e poi dalle religioni. Il primo prendendo alla lettera ciò che raccontano le sacre scritture. Esiste Dio che è un essere superiore, il quale ci ha creato a sua immagine e osserva come ci comportiamo, giudicandoci all’ultimo in un finale abbastanza pirotecnico

e data la situazione del pianeta e dell’umanità c’è chi sospetta che ci siamo vicini. Considerando che esistono religioni diverse e di conseguenza “Dio” differenti, questo spesso genera discussioni e conflitti non indifferenti su quale sia quello vero. Benigni diceva in un noto sketch televisivo: “E se poi dall’altra parte incontrassimo Manitù che gli diremmo? Ah io leggevo Tex Willer! “. Se esistesse un altro modo di leggere ed ascoltare queste storie? Sono storie che in realtà nascono dall’alba dei tempi e che forse fanno riferimento all’idea di monomito di cui parlava Joseph Campbell ne “L’eroe dai mille volti”. Da Gilgamesh a Mitra, Ercole, Zoroastro, Brama e il suo adepto Arjuna, Buddha, Gesù di Nazareth. Tutte le loro vite, le loro storie, le azioni compiute, raccontano un viaggio dell’eroe che tra le righe nasconde più di un messaggio profondo. Queste storie nascono da racconti che descrivono percorsi esperienziali, viaggi di acquisizione di consapevolezza che avvengono durante la loro stessa vita e li trasformano dalla semplice dimensione umana che hanno al principio, in quella divina del finale e quindi suggeriscono un senso differente all’esistenza stessa, portando il messaggio che essendo loro stessi persone nate come qualsiasi altro essere umano, il loro è un viaggio che chiunque potrebbe compiere: chiunque potrebbe in fondo sconfiggere la morte, nel senso di andare oltre il concetto di fine dell’esistenza. Non entro nel merito di questioni puramente teologiche qui, adesso, come ad esempio la verginità della madre  ecc. Ogni racconto ha un narratore con interessi che vanno oltre la semplice narrazione della storia e tutti sappiamo quanto manipolatorie possano essere i racconti, ma questo sarà tema di un altro post.  il problema del senso della vita nasce proprio per colmare la sensazione di vuoto e di dolorosa vertigine che l’uomo prova  al momento della morte.  Si ritrova solo con tutti i giorni ormai passati, tutti i beni e le proprietà acquisite (San Filippo Neri cantava Tutto è vanità )

senza più tempo per poterle vivere, provare piacere o benessere, senza il tempo per realizzare altri desideri L’unica cosa che riempie quel senso di vuoto in quell’istante senza più la percezione della gioia e della pace.

L’uomo si ritrova solo con il vuoto  di fronte all’ignoto, è questo che fa davvero paura: il senso di profondo nichilismo che pervade il tutto. Quello che ci viene raccontato nell’esperienza della vita quotidiana di questi personaggi straordinari, è che ci sono momenti che non hanno a che fare con il possedere, il reagire, il dominare e vincere, l’ottenere riconoscimento o gratificazione  e momenti ch hanno a che fare invece proprio con quel senso di pace comprensione comunione con la natura, con le altre persone, momenti di partecipazione emotiva, si direbbe d’amore ed è questo che in realtà ci fa sentire meglio di qualsiasi altra esperienza. Preferiscono alla vita definita mondana un senso diverso più profondo perché ci dicono che ciò che sentono in quei momenti rari in verità è il flusso della vita stessa. Ciò che nel romanticismo definivano come flusso poetico. La storia, dunque che ci sarebbe stata raccontata per millenni attraverso queste storie, sarebbe quella dell’evoluzione dell’essere umano da una dimensione animale iniziale ad una sempre più in connessione con il principio vitale che anima questo sistema -universo- e poi perchè no, il pluriverso. Sostengono gli indù il Brama stesso, il Logos, il Tawhid esso è il principio a cui ci ricongiungiamo, è come se ad un certo punto la nostra funzione identitaria, la nostra coscienza di sistema si sintonizzasse con la -Matrix- di tutto il sistema che genera la vita stessa e non con la singola causalità del quotidiano, azioni quotidiane fatte di preghiere, meditazioni, comportamenti ed esperienze che cambino fisicamente il nostro cervello e sviluppino una sorta di super coscienza evoluta. Certo questa potrebbe essere una bella storia da scoprire per abbandonare la paura della morte come fine di ciò che siamo, perchè potremmo essere semplicemente molto di più da ciò che abbiamo pensato di essere fino ad oggi.

Per Michel Foucault, la morte non è un evento naturale, ma un’invenzione sociale.

La morte, infatti, non è un’esperienza che possiamo vivere direttamente, ma è qualcosa che ci viene raccontato. È attraverso i discorsi, le pratiche e le istituzioni che la morte viene costruita e significata.

Foucault sostiene che la morte è stata inventata in epoca moderna, con l’avvento della medicina e della scienza. In precedenza, la morte era un evento quotidiano e familiare, che faceva parte della vita quotidiana. Con l’avvento della medicina, la morte è diventata un evento sempre più raro e lontano, che ha finito per essere percepito come qualcosa di spaventoso e misterioso.

La morte, secondo Foucault, è una costruzione che serve a diversi scopi. Innanzitutto, serve a controllare e disciplinare i corpi. La paura della morte è un efficace strumento per indurre le persone a conformarsi alle norme sociali e a evitare comportamenti rischiosi. In secondo luogo, la morte serve a legittimare il potere. La morte è spesso utilizzata per giustificare la violenza e l’oppressione, come nel caso della guerra o della pena di morte.

L’affermazione di Foucault che la morte è un’invenzione ha suscitato molte polemiche. Alcuni critici hanno accusato Foucault di negare la realtà della morte. Altri hanno sostenuto che Foucault ha esagerato l’influenza dei discorsi e delle pratiche sociali sulla nostra percezione della morte.

Tuttavia, l’affermazione di Foucault che la morte è una costruzione sociale ha il merito di aprire una nuova prospettiva sul tema della morte. Foucault ci invita a riflettere sul modo in cui la morte viene rappresentata e significata nella nostra cultura. Ci invita a chiederci quali sono le conseguenze di questa costruzione sociale per la nostra vita e per la nostra percezione della morte.

Ecco alcuni esempi di come la morte viene costruita e significata nella nostra cultura:

  • La medicina e la scienza: la medicina e la scienza hanno contribuito a rendere la morte un evento sempre più raro e lontano. I progressi della medicina hanno portato a un aumento dell’aspettativa di vita e a una riduzione della mortalità infantile. La scienza, invece, ha contribuito a spiegare la morte come un processo naturale, privo di significato.
  • I media: i media hanno un ruolo importante nella costruzione della nostra percezione della morte. I notiziari, i film e le serie televisive ci presentano spesso la morte come un evento violento e tragico. Questo può contribuire a alimentare la paura della morte e a vedere la morte come qualcosa di negativo.
  • La religione: la religione offre diverse spiegazioni sulla natura della morte. Alcune religioni, come il cristianesimo, propongono l’idea di un’aldilà, dove la vita continua dopo la morte. Altre religioni, invece, come il buddismo, propongono l’idea della reincarnazione, dove l’anima si reincarna in un nuovo corpo dopo la morte.

La nostra percezione della morte è influenzata da una varietà di fattori, tra cui i discorsi, le pratiche e le istituzioni sociali.

Nel suo libro “Essere e tempo”, Martin Heidegger racconta il mito della Cura, un mito che descrive la condizione esistenziale dell’uomo.

Il mito narra di una dea chiamata Cura, che si imbatte in un fango cretoso e decide di plasmarlo a sua immagine. Dopo averlo plasmato, Cura gli dà il nome di “uomo” e lo abbandona nel mondo.

Il mito della Cura è una metafora della condizione esistenziale dell’uomo. L’uomo è un essere gettato nel mondo, senza una natura o una destinazione predeterminata. L’uomo è libero di scegliere il proprio destino, ma è anche responsabile delle proprie scelte.

La Cura è la struttura ontologica dell’uomo, è la sua condizione di essere-nel-mondo. La Cura è ciò che ci permette di relazionarci con il mondo e con gli altri.

Heidegger distingue tra due tipi di Cura:

  • La Cura inautentica: è la Cura che si perde nel mondo delle cose e delle opinioni. L’uomo inautentico è un essere-per-gli-altri, che vive la sua vita in funzione degli altri.
  • La Cura autentica: è la Cura che si assume la propria responsabilità e si orienta verso il proprio significato. L’uomo autentico è un essere-per-sé, che vive la sua vita in funzione di se stesso.

Il mito della Cura è un mito che può aiutarci a comprendere la nostra condizione esistenziale. Se comprendiamo la nostra condizione di essere-nel-mondo, possiamo scegliere di vivere una vita autentica e significativa.

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Rabbia

Rabbia

Rabbia

La rabbia è un’emozione di base universale e un’esperienza umana comunemente condivisa, indipendentemente dalletà, dalla cultura o dalletnia. La funzione adattiva della rabbia risiede nellistinto di proteggersi per sopravvivere nel proprio ambiente e di reagire alle ingiustizie, ai torti subiti o percepiti e alla percezione che i propri diritti sono stati violati.

La rabbia è l’emozione, nella sua definizione lessicale che domina il comportamento umano nella nostra società contemporanea provocando quella che invece definiamo aggressione

La rabbia è uno stato emotivo, come descritto sopra, mentre laggressione si riferisce all’azione compiuta. Laggressività è coerente con l‘aggressione fisica e verbale, mentre la rabbia è coerente con un forte senso di disagio, che rappresenta un’espressione soggettiva di aggressività. La rabbia può causare comportamenti aggressivi (ad esempio, urlare, lanciare oggetti) e aumenta in modo affidabile la probabilità di mettere in atto tali comportamenti (Anderson & Bushman, 2002). Tali comportamenti possono portare a conseguenze negative come liti violente, danni alla proprietà e aggressioni fisiche. Pertanto, le persone con alti livelli di rabbia hanno maggiori probabilità di subire conseguenze negative (Deffenbacher, Oetting, Lynch, & Morris, 1996). La violenza è lesempio più drammatico delle conseguenze negative della rabbia e la forma più distruttiva di gestione (Korn & Mùcke, 2001). Tuttavia, i sentimenti di rabbia non sempre sfociano in comportamenti violenti e aggressivi, così come la violenza e l‘aggressività possono verificarsi senza rabbia (ad esempio, nel caso del furto, un attacco puramente strumentale). Infatti, alcuni comportamenti aggressivi sono privi di rabbia, mentre altri sono pieni di rabbia che non può essere definita aggressiva. Le persone guidate dalla rabbia sono sempre emotive, mentre le persone aggressive possono essere poco emotive e apatiche (Fein, 1993).

Allinterno della categoria emotiva della rabbia, esistono vari stati emotivi ad alta intensità emotiva e attivazione, come la rabbia, la collera e il risentimento, nonché stati emotivi a bassa intensità, come il risentimento, la frustrazione e limpazienza. In tutti i casi, questi stati emotivi sono intensi ma transitori. Tuttavia, possono rimanere e persistere nella persona attraverso vari meccanismi di mantenimento, come le ruminazioni di rabbia.

Allo stesso modo, a livello linguistico, nel vocabolario emotivo della categoria emotiva della rabbia, gli individui usano parole specifiche per descrivere questo stato emotivo, come risentito, irritabile, arrabbiato, furioso, furioso, irritabile, lunatico, ostile, furioso e arrabbiato.

La rabbia è uno stato emotivo intenso che si attiva nellindividuo in risposta a stimoli interni ed esterni e alle loro interpretazioni cognitive. È un processo che segue fasi specifiche (insorgenza, persistenza e attenuazione) ed è spesso accompagnato da cambiamenti fisiologici e comportamentali che hanno la funzione di adattare l’individuo allambiente.

Le sue componenti comprendono lattivazione fisiologica dellorganismo, le componenti cognitive (interpretazioni cognitive, pensieri, credenzee immagini), le componenti fenomenologiche (percezioni soggettive, etichettatura lessicale) e le componentie spressive e comportamentali (linguaggio del corpo, espressioni facciali e tendenze comportamentali). Queste dimensioni interagiscono tra loro e influenzano lesperienza individuale della rabbia.

La rabbia è una reazione emotiva che genera un comportamento, il più delle volte di tipo violento

Come si manifesta nella persona la rabbia?

 La rabbia è principalmente una sensazione corporea, la definiamo emozione,  ma la parola ci porta a pensare a qualcosa di astratto che effettivamente prova il corpo. non riusciamo ad osservarla e quindi definirla completamente, quando siamo presi da questa emozione il corpo ci spinge ad agire di più in fretta possibile in due direzioni opposte una di Iperarosal o iperattivazione e l’altra di ipoarousal (Van Der Kolk 2021)  La prima è una reazione di attacco, la seconda di difesa di fuga.  In pratica o alziamo il tono della voce e cerchiamo di cambiare il nostro stato quello che in realtà pensiamo sia la situazione agendo anche in maniera violenta oppure scappiamo, ci nascondiamo oppure ci viene sonno tendiamo a dormire o addirittura ci congeliamo. Mentre accade tutto questo il cervello non smette completamente di pensare ma attiva delle reti neurali che noi percepiamo come pensieri, nella maggior parte dei casi di contenuto svalutante riguardano la nostra incapacità o la concezione di  giusto o sbagliato. Sono tutti pensieri che attribuiscono il verificarsi degli eventi a responsabilità relativa a causa esterne  “è quello che non sa guidare” ” mi ha tagliato la strada” ” è lui che mi ha attaccato” ” Lo senti che dice?”

Ggli eventi indubbiamente accadono, ma la responsabilità  di quello che noi percepiamo dipende da noi.  Se coltiviamo e ci addestriamo ad imparare ad osservare le nostre reazioni, con un addestramento di tipo mindfulness (Fisher 2022)  usciamo dall’attivazione automatica della rete e ci ritroviamo a scoprire nuove risorse che ci permettono di reinterpretare quella sensazione di sofferenza come una semplice perturbazione energetica interiore.
L’uomo fin dai tempi antichi attraverso il racconto di storie, favole, diventate nel tempo miti e poi persino racconti di tipo religioso ha indagato e soprattutto suggerito comportamenti per andare oltre questi comportamenti. Interpretati come comportamenti limitanti hanno contrubuito ad alimentare l’idea teleologica di un fine evolutivo all’esistenza dell’essere umano. Apprendere le tecniche specifiche di gestione dell’iperarusal o ipoarusal, pone l’uomo nella condizione  esistenziale superiore di superamento della parte animale per giungere a quella divina. Proprio questo intendeva il Buddha quando diceva di controllare le pulsioni del corpo o Gesù di Nazareth quando diceva di porgere l’altra guancia e che il regno dei cieli è di coloro che sono miti. Oggi potremmo dire consiste nel  coltivare la capacità di osservare le proprie reazioni osservandole, in questo modo la corteccia prefrontale non si spegne e l’attivazione automatica della rete si scioglie, non avviene più in un attimo ma addestrandosi in maniera disciplinata si riesce a sviluppare la parte duale del cervello, di fatto potenziandolo.
La rabbia come doppio legame

Bateson ha studiato in particolare il ruolo della rabbia nel contesto del doppio legame. Il doppio legame è una situazione comunicativa in cui una persona riceve due messaggi contraddittori, entrambi con lo stesso livello di importanza. Questo può portare a una confusione e a una frustrazione che possono sfociare in rabbia.

Ecco alcuni esempi di doppio legame:

  • Un genitore che dice al figlio “Voglio che tu sia te stesso, ma devi essere come voglio io”.
  • Un insegnante che dice allo studente “Sei intelligente, ma non sei abbastanza bravo per questo compito”.
  • Un partner che dice al coniuge “Ti amo, ma non so se posso fidarmi di te”.

In questi esempi, la persona che riceve il messaggio è in una situazione in cui non può vincere. Qualunque cosa faccia, sarà in errore. Questo può portare a una confusione, a una frustrazione e a un senso di impotenza.

La rabbia nelle culture diverse

La rabbia, nelle diverse culture ha sempre un valore sia positivo che negativo

  • Nella cultura mongola, la rabbia è vista come una forza potente che può essere positiva o negativa. D’altra parte, la rabbia è talvolta vista come un’energia positiva per combattere per ciò che è giusto. Ad esempio, la storia di Temujin, il fondatore dell’Impero mongolo, racconta di un uomo che usò il potere della rabbia per vendicarsi dei suoi nemici e unire il popolo mongolo.
  • Daltraparte, la rabbia è talvolta vista come una forza negativa che portaalla violenza e alla distruzione. Per esempio, la storia di Gengis Khan, nipote di Temujin, descriveun uomo che ha usato la sua rabbia per conquistare gran parte dell’Eurasia, causando morte e distruzione.
  • Nella cultura tibetana, la rabbia è considerata un’emozione da controllare. I tibetani credono che la rabbia sia una manifestazione dell’ego e che porti alla sofferenza. Per questo motivo, i tibetani praticano varie tecniche di meditazione e mindfulness per imparare a controllare la rabbia.
  • Nella cultura indiana americana, la rabbia è considerata un’emozione naturale che può essere positiva o negativa. D’altra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza positiva che può essere utilizzata per l’autodifesa o per proteggere gli altri. Ad esempio, la storia di Tecumseh, un capo tribù dei nativi americani, racconta di un uomo che usò la sua rabbia per resistere all‘invasione dei coloni europei.
  • Daltra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza negativa che può portare alla violenza e alla distruzione. Per esempio, la storia di Cavallo Pazzo, un altro capo tribù dei nativi americani, racconta di un uomo che usò la sua rabbia per combattere contro i coloni europei, ma alla fine fu ucciso in battaglia.
  • Nella cultura Inuit, la rabbia è considerata un’emozione da controllare. Gli Inuit credono che la rabbia porti a decisioni impulsive, che possono avere conseguenze negative. Per questo motivo, gli Inuit praticano diverse tecniche di risoluzione dei conflitti per imparare a gestire la rabbia in modo costruttivo.
  • Nella cultura lappone, la rabbia è riconosciuta come un’emozione che deve essere controllata. I lapponi credono che la rabbia porti sfortuna e malattie. Per questo motivo, i lapponi praticano varie tecniche di meditazione e mindfulness per imparare a controllare la rabbia.
  • Nella cultura indonesiana, la rabbia è considerata un’emozione naturale che può essere positiva o negativa. D’altra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza positiva che può essere utilizzata per l’autodifesa o per proteggere gli altri. Ad esempio, la storia del generale indonesiano Gajah Mada racconta di un uomo che usò la sua rabbia per combattere contro i colonizzatori portoghesi.
  • Daltra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza negativa che può portare alla violenza e alla distruzione. Ad esempio, la storia di Pangeran Diponegoro, un altro generale indonesiano, racconta di un uomo che usò la sua rabbia come arma per combattere i coloni olandesi, ma alla fine fu sconfitto ed esiliato.
  • Nella cultura celtica, la rabbia è vista come un’emozione naturale che può essere positiva o negativa. D’altra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza positiva che può essere utilizzata per l’autodifesa o per proteggere gli altri. Ad esempio, la storia dell’eroe celtico Cù Chulainn racconta di un uomo che usò la sua rabbia per combattere i suoi nemici.
  • Daltra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza negativa che può portare alla violenza e alla distruzione. Per esempio, la storia della regina celtica Medb racconta di una donna che usò la sua rabbia per conquistare il regno di Connacht.
  • In conclusione, la rabbia è un’emozione che viene valutata in modi diversi nelle varie culture. In alcune culture la rabbia è vista come una forza positiva che dovrebbe essere usata a fin di bene. In altre culture, la rabbia è vista come una forza negativa da controllare.

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