Conflitto
Siamo di fronte ad un dramma, a noi fortunati che non lo viviamo in prima persona ci si presenta mediante le pagine dei giornali, i notiziari televisivi, i post con foto e commenti su internet e nella nostra quotidianità così bombardata d’informazione e fiction, non è certo attraverso questi strumenti che prendiamo coscienza della drammaticità della situazione. Anzi tutta questa comunicazione, questa narrazione alimenta maggiormente un senso ipnotico di lontananza e distacco da eventi che stanno accadendo realmente ad esseri umani come noi. Sono persone i migranti morti in mare cercando un approdo, sono persone i cittadini ucraini e russi che si combattono o subiscono i bombardamenti nelle loro case, sono persone quelle uccise dai terroristi in Israele e lo sono quelle bombardate da Israele nella striscia di gaza ed in Libano. Dovrebbe essere inutile ribadirlo, ma proprio questa continua informazione, questo continuo polarizzare l’opinione della gente lascia una sensazione profonda di estraniamento che produce un sottile stato di shock al quale il cervello umano risponde con la dissociazione e quindi la perdita di empatia.
Non sono io ovviamente a dirlo, ma gli ultimi studi neuroscientifici. Più i problemi che ci vengono raccontati sono di carattere generale e grandi rispetto alla nostra quotidianità, più il nostro cervello entra in protezione tende a spegnere i lobi frontali. Ecco perché assistiamo a situazioni di partecipazione collettiva alla soluzione immediata di tragedie, lì sul posto dove avvengono, terremoti, alluvioni, ma anche atti di terrorismo, ma ci sembrano così lontane situazioni di conflitto che non viviamo in prima persona e che non siamo in grado d’immaginare viverle. La continua narrazione finalizzata alla verità di un gruppo di opinione mediante processi conflittuali di discussione o dibattito, non aiuta ad uscire da questo stato ipnotico di partecipazione comunicativa.
Jonathan Heidt
Noi costruiamo storie non ragionamenti
Esistono situazioni in cui l’essere umano si sente parte di una comunità e situazioni in cui il principio di sopravvivenza prende il sopravvento e vige la legge dell’ognun per sé e Dio per tutti. Questo discorso che può sembrare discretamente semplice o una questione di senso comune come lo avrebbe definito qualche filosofo illuminista in realtà nasconde una questione ben più profonda. È vero che la società umana è una realtà collettiva e che perché questa evolva sono necessarie leggi che ne definiscano i diritti ed i doveri, ma è pur vero che la collettività è composta dai singoli individui e che è attraverso il cambiamento e l’evoluzione dei singoli che avviene l’evoluzione dell’intero sistema. Il punto fondamentale è che non siamo consapevoli dei nostri processi decisionali, non solo per quanto riguarda le azioni da intraprendere, ma anche per quanto riguarda le idee che sviluppiamo e di conseguenza il significato che diamo agli eventi ed il significato che diamo all’intero nostro mondo. Questo è un grosso problema che si ripercuote sul funzionamento di tutto il sistema terra.
Gli studi sul trauma sviluppatisi nei prima anni 2000 ci stanno mostrando come molti filosofi della prima metà del ‘900 avessero già intuito qualcosa: l’importanza del corpo in senso ontologico.
Husserl, Heidegger, Merleau-Ponty e poi Lacan, Levinas per strade diverse e percorsi differenti ci hanno sollecitato ad osservare quanto fosse l’esserci, il corpo, il desiderio, la vista del volto dell’altro alla base del senso di esistenza che viviamo e ci determina.
Il trauma è una risposta automatica che il cervello innesta per permettere all’individuo di sopravvivere, il trauma il più delle volte non viene ricordato dalla mente narrativa, quella che ci parla tutto il giorno, ma è memorizzato nel corpo e spesso si riattiva non appena il cervello arcaico o rettile riceve dei segnali impercettibili per la corteccia. Per il nostro senso di identità mentale sono indistinguibili, ma ci sono e la reazione avviene in maniera automatica. Di qui ecco perché a volte agiamo in maniera inconsulta. Le reazioni di rabbia, dall’urlare fino a picchiare a sangue il nostro presunto nemico, dal sentirci perennemente stanchi a deprimersi fino al non uscire più di casa. Sono tutte risposte, naturalmente di intensità differente a traumi memorizzati nel nostro corpo. Ora il trauma una volta riattivato cosa produce? come facciamo a rendercene conto? Ci sono tre fattori che ne definiscono l’attivazione, come sostiene il lo Psichiatra Bessel Van Der Kolk questi arrivano sempre insieme: una sensazione di profondo sconvolgimento fisico, calore, tensione, crampi, tremolio ecc. un pensiero di allerta o profondamente negativo su ciò che stiamo vivendo e su se stessi ed infine una spinta fortissima a scaricare mediante un’azione, scappare o attaccare, tirare un pugno, urlare fino a situazioni ancora più drammatiche come dare ad esempio 30 coltellate a qualcuno senza rendersene veramente conto. questi fenomeni tutti noi li viviamo continuamente nella nostra giornata, fin da quando eravamo bambini. È su questi fenomeni che abbiamo costruito il senso della nostra identità, la percezione di essa e diamo un significato alla nostra vita, perché è attraverso le connessioni di causa ed effetto, le loro relazioni con le nostre percezioni che ci siamo costruiti e ci costruiamo di continuo la narrazione di ciò che siamo. Noi costruiamo storie non ragionamenti come sostiene il noto psicologo Jonathan Heidt.
Cominciamo allora a capire cosa sta accadendo al nostro mondo? La maggior parte delle scelte che facciamo nella nostra vita quotidiana, ma anche quelle compiute a livello politico, sociale da persone che ricoprono incarichi pubblici e ruoli le cui le loro singole azioni si ripercuotono sulla vita dei molti, sono scelte e azioni dettate da reazioni traumatiche inconsapevoli, ma giustificate razionalmente da narrazioni distorte. Ci stiamo raccontando un mondo sempre più dispotico e lo stiamo creando, perché noi stessi non affrontiamo la nostra dissociazione in modo consapevole e non iniziamo a renderci coscienti delle nostre reazioni traumatiche. I conflitti sono l’esempio più lampante di questa situazione. La paura, la responsabilità delle reazioni dovute alla violenza delle azioni del nostro nemico (antagonista) innescano dei processi di sopravvivenza in cui quelli che noi chiamiamo ragionamenti in realtà sono narrazioni, storie non reali. Esiste un altro modo di risolvere i conflitti. Nella sua massima sintesi si potrebbe dire, attraverso l’empatia: Conosci te stesso in profondità, per conoscere l’altro e scoprire che siamo veramente uguali. Questa dovrebbe essere la base di partenza per intraprendere azioni concrete finalizzate ad evolvere la nostra comunità umana
Conflitti tuttora presenti sul nostro pianeta a cui non abbiamo ancora trovato una soluzione
- Guerra in Ucraina: guerra in corso tra Russia e Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022. La Russia ha invaso l’Ucraina, accusando il paese di essere una minaccia alla sua sicurezza nazionale. La guerra ha causato la morte di migliaia di persone e la fuga di milioni di ucraini dalle loro case.
- Conflitto tra Etiopia e Eritrea: conflitto in corso tra Etiopia ed Eritrea iniziato nel 1998. I due paesi hanno combattuto una guerra di confine nel 1998-2000, che si è conclusa con un cessate il fuoco. Tuttavia, le tensioni tra i due paesi sono rimaste elevate e nel 2020 è ripreso il conflitto.
- Conflitto in Yemen: guerra civile in corso nello Yemen iniziata nel 2015. Il conflitto vede contrapposti la coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita e il governo yemenita riconosciuto dall’ONU, da un lato, e i ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran, dall’altro. La guerra ha causato una grave crisi umanitaria, con milioni di persone in stato di bisogno.
- Conflitto in Siria: guerra civile in corso in Siria iniziata nel 2011. Il conflitto vede contrapposti il governo siriano, sostenuto dalla Russia e dall’Iran, da un lato, e diverse fazioni ribelli, sostenute da diversi paesi, tra cui Stati Uniti e Turchia, dall’altro. La guerra ha causato la morte di centinaia di migliaia di persone e la fuga di milioni di siriani dalle loro case.
- Conflitto in Myanmar: crisi politica in corso in Myanmar iniziata nel 2021. Il colpo di stato militare del 1° febbraio 2021 ha portato alla destituzione del governo civile guidato da Aung San Suu Kyi. Il colpo di stato ha scatenato proteste di massa, che sono state represse nel sangue dall’esercito.
- Conflitto in Afghanistan: guerra civile in corso in Afghanistan iniziata nel 2021. Il ritiro delle forze statunitensi e della NATO dall’Afghanistan nel 2021 ha portato alla caduta del governo afghano e al ritorno al potere dei talebani. Il ritorno al potere dei talebani ha portato a una serie di violazioni dei diritti umani, in particolare nei confronti delle donne e delle ragazze.
Oltre a questi conflitti, ci sono anche una serie di altri conflitti minori in corso in diverse parti del mondo, tra cui:
- Conflitto in Libia: guerra civile in corso in Libia iniziata nel 2011. Il conflitto vede contrapposti il governo di unità nazionale, riconosciuto dall’ONU, da un lato, e le milizie di Khalifa Haftar, dall’altro.
- Conflitto in Somalia: guerra civile in corso in Somalia iniziata nel 1991. Il conflitto vede contrapposti il governo federale somalo, sostenuto dalla comunità internazionale, da un lato, e diverse fazioni ribelli, dall’altro.
- Conflitto in Mali: conflitto in corso in Mali iniziato nel 2012. Il conflitto vede contrapposti il governo maliano, sostenuto dalla comunità internazionale, da un lato, e i gruppi jihadisti, dall’altro.
- Conflitto in Burkina Faso: conflitto in corso in Burkina Faso iniziato nel 2015. Il conflitto vede contrapposti il governo burkinabé, sostenuto dalla comunità internazionale, da un lato, e i gruppi jihadisti, dall’altro.
- Conflitto in Niger: conflitto in corso in Niger iniziato nel 2015. Il conflitto vede contrapposti il governo nigerino, sostenuto dalla comunità internazionale, da un lato, e i gruppi jihadisti, dall’altro.
Conflitto tra Israele e Hamas in Palestina.
Il conflitto è iniziato il 7 ottobre 2023, quando Hamas ha lanciato un attacco missilistico contro Israele seguitao da un incursione terroristica in terrirtotio isrealiano con l’uccisione di centinaia di civili compresi bambini e donne ed il rapimento di qualche centinaio di persone che stavano partecipando ad un concerto e altrettante che si trovavano in due Comunità (Kibbutz) vicine al confine. Israele ha risposto con una controffensiva aerea e terrestre, che ha causato la morte di altrettante migliaia di persone, tra cui civili, nella striscia di Gaza. Il conflitto è ancora in corso, ma ci sono segnali di un possibile cessate il fuoco.
Il conflitto tra Israele e Hamas è il risultato di un conflitto più ampio tra Israele e Palestina, che dura da decenni. Da quando gli inglesi dopo la seconda guerra mondiale hanno abbandonato i territori dopo averli promessi sia alle comunità arabe che ebraiche. Il conflitto è causato da una serie di fattori, tra cui la disputa sul territorio, l’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, e la violenza dei gruppi militanti palestinesi.
Il conflitto ha un impatto devastante sulla popolazione civile di entrambi i lati. In Israele, le persone vivono nella paura degli attacchi missilistici di Hamas. A Gaza, la popolazione è sottoposta a un blocco israeliano che rende difficile l’accesso a cibo, acqua e medicine.
Il conflitto è anche un ostacolo alla pace in Medio Oriente. Il processo di pace tra Israele e Palestina è in stallo da anni, e il conflitto tra Israele e Hamas rende più difficile trovare una soluzione pacifica.